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Due late-comers a confronto:
la Guerra Russo-Giapponese del 1905.


Conclusioni

  Con la definizione di Russia e Giappone come “late-comers” abbiamo sottolineato il loro stesso ritardo nel processo di industrializzazione rispetto ai paesi dell'Europa occidentale e del Nord America, ma, nonostante le similitudine che i due stati presentavano al momento dell'avvio delle trasformazioni economiche che li avrebbero portati a pieno titolo tra le nazioni industrializzate, le differenze tra i due imperi erano molto profonde.
  Entrambi avevano al loro vertice sociale un imperatore di origine divina, il Tenno, e detentore di un potere di origine divina lo Zar, ma, benché, nominalmente avessero gli stessi poteri legislativi e decisionali, lo Zar li esercitava attraverso i ministri che dipendevano esclusivamente dalla sua volontà, mentre il Tenno, figura tradizionalmente estranea alla politica, legato alla consuetudine giapponese delle decisioni prese collegialmente, poté delegare le funzioni governative a quegli uomini che, con la loro fedeltà, avevano permesso la sua restaurazione. Questa differente organizzazione del vertice imperiale derivava dalle vicende storiche frutto a loro volta della differente collocazione geografica dei due paesi.
  Il Giappone, arcipelago di isole lontane da nemici bellicosi, era rimasto escluso dal resto del mondo per lunghi secoli ed il detentore del potere, lo Shogun, si era potuto dedicare tranquillamente ad organizzare il suo stato, approfittando del vuoto di potere della Cina per allontanarsi anche dalla sua orbita politica e culturale.
  La Russia, invece, aveva partecipato, con alterne fortune a quasi tutte le guerre europee del Settecento culminate con la distruzione del sistema napoleonico e nello stesso periodo e nel corso di tutto l'ottocento, ridimensionando progressivamente la potenza dell'Impero Ottomano, aveva assoggettato ed incorporato i temibili Mussulmani dell'Asia centrale ed i pericolosi nomadi delle steppe siberiane.
  Sebbene lo Shogun si fosse inizialmente comportato come un autocrate, a causa della sua subordinazione formale verso l'Imperatore, era stato costretto a delegare molte delle sue competenze ai Signori locali, i Daimyo, instaurando un governo di tipo “feudale”. Inoltre, per semplificare la gestione del suo vasto patrimonio e del controllo statale, si era dovuto servire di uno strumento governativo collegiale, il Bakufu, che divenne il vero centro decisionale del paese. Infine, le regioni infeudate, Han, non erano controllate direttamente dal governo shogunale, e grazie a tale autonomia, nell'ultimo periodo Tokugawa, si erano potuti formare dei governi locali molto attivi, nei quali poterono operare uomini nuovi ed essere sperimentati innovativi sistemi organizzativi.
  Al contrario in Russia l'organizzazione statale riordinata da Pietro il Grande, con lo Zar che manteneva il potere assoluto, basandosi sulla propria autorità di Piccolo Padre verso i servi della gleba, un esercito di coscritti contadini e di fedeli Cosacchi, aveva permesso alla nobiltà di disinteressarsi alla gestione delle proprietà terriere se non per esigenze economiche e di occuparsi dello stato solo per garantirsi il gradimento dello Zar.
  Con queste premesse i due paesi messi di fronte alle proprie limitazioni nello stesso periodo dalle due crisi internazionali dovute alle sconfitte della Guerra di Crimea per la Russia e dall'imposizione militare di USA e Gran Bretagna per il Giappone tentarono di modernizzarsi e riprendersi dagli scacchi subiti.
  Il periodo di incessanti vittorie militari e politiche della Russia, iniziato con la disfatta napoleonica e culminato con l'intervento militare in aiuto all'Austria durante la rivoluzioni del 1948 aveva aumentato la sua considerazione nei paesi occidentali ed il potere del suo autocrate al suo interno. La Guerra di Crimea segnò la fine di tale congiuntura favorevole, impose alla Russia di adottare soluzioni per far fronte alla propria arretratezza. Tali soluzioni furono collegate principalmente a fattori militari: il miglioramento dell'Esercito e della Marina e la liberazione dei servi della gleba altrimenti difficilmente utilizzabili come reclute. Probabilmente anche a causa della successione di Alessandro II al trono di Russia, l'accentramento dell'autorità nella sola figura dello Zar, capo assoluto militare e politico, che era la causa principale della mancata vittoria, non venne messa in discussione.
  Diversamente, in Giappone l'intervento sempre più pressante delle potenze occidentali, specialmente USA, Gran Bretagna e Francia, che sconfitta la Cina, avevano costretto Shogun ad aprire il proprio paese al commercio internazionale, dimostrando l'incapacità dello shogunato a fronteggiare tali minacce, ne ridimensionarono il prestigio minandone in modo definitivo l'autorità. Nella situazione di insicurezza militare alcuni Daimyo che avevano già iniziato a modificare le proprie forme di governo e di produzione per potenziare le truppe ai loro ordini, conquistarono il potere in nome dell'Imperatore al quale lo consegnarono formalmente dando vita ad un'intesa che coinvolgeva ideologicamente tutte le classi sociali e tutte le regioni del Giappone. Liquidato lo Shogun ed il suo ormai inadeguato Bakufu, il governo non fu però affidato all'imperatore, che senza una struttura di controllo diretta sullo stato non poteva avere alcun reale potere decisionale e neppure ai Daimyo che solo nominalmente governavano i propri Han, ma fu gestito da un gruppo di ex-samurai che, soprattutto all'interno degli Han più progrediti, avevano iniziato il processo riformatore e che adesso potevano estendere a tutto lo Stato. Questi nuovi burocrati, che rimasero influenti fino all'inizio dell'Ottocento, facendo leva sulla figura unificatrice dell'Imperatore e sulla sua autorità indiscussa, imposero a tutti profondi cambiamenti giustificati con la necessità di ottenere rapidamente la forza necessaria per contrastare la minaccia rappresentata dagli occidentali.
  Importante fu anche l'atteggiamento nei confronti delle classi sociali più preparate culturalmente. In Russia, l'istruzione e la preparazione non erano considerate importanti ai fini della promozione agli incarichi di governo. La nobiltà numerosa e poco istruita, riceveva dall'autocrate impieghi importanti negli uffici statali e nei gradi militari principalmente sulla base di simpatie, frequentazioni altolocate, raccomandazioni e conoscenze personali.
  Al di sotto dei nobili vi era un folto gruppo di militari e burocrati statali che ambivano alla nobilitazione personale, raggiungibile nello Stato russo grazie all'anzianità di servizio e agli avanzamenti di grado ottenibili solo in cambio all'accondiscendenza verso i superiori. In questo modo i migliori e i più preparati potevano essere facilmente vittime di discriminazioni per avvantaggiare i nobili e i funzionari o militari più anziani e nell'”intellighenzia” si creò una schiera particolarmente numerosa di scontenti, specialmente ai livelli inferiori.
  Il crollo del sistema shogunale aveva portato allo smantellamento dei privilegi della “classe” dei samurai, che avevano rappresentato per secoli la burocrazia e le forze armate del Giappone. Tale classe, preparata in scuole speciali per prepararsi al combattimento che per poter gestire l'amministrazione degli Han dove vivevano, furono costretti ad adattarsi ad impieghi in tutti i settori economici del Giappone permeando con la loro cultura gli altri ambiti sociali. Nella nuova condizione, approfittando del più elevato grado di istruzione, gli ex-samurai mantennero parte del loro prestigio di classe ed apportarono nel mondo del lavoro le loro conoscenze ed i loro valori di lealtà gerarchica che avevano appreso. La trasformazione da classe protetta a cittadini comuni fu causa di gravi disordini nel primo periodo Meijj anche se il Governo cercò di attenuare le difficoltà d'inserimento con sussidi, agevolazioni economiche o cessione di terre. Importante fu l'assunzione massiccia al servizio dello stato , soprattutto come ufficiali del nuovo Esercito, di alcuni ex-samurai protetti da alcune fazioni del governo o provenienti dagli Han che avevano contribuito alla restaurazione imperiale. Altri ex-samurai poterono, grazie alla rapida crescita economica, dedicarsi alle attività economiche trasformandosi in imprenditori nelle attività commerciali ed industriali, dando vita ad un più moderno sistema economico, dove i metodi di avanzamento sociale furono legati alle capacità individuali e alla professionalità. La fedeltà degli ex-samurai all'Imperatore e la consapevolezza di appartenere ad una classe diversa da quella dei popolani rallentò fortemente la diffusione tra loro del pensiero socialista o democratico e ridusse la loro partecipazione ai movimenti che vi si ispiravano.
  Ad agevolare il processo di inserimento dell'élite culturale nel nuovo sistema sociale giapponese vi fu la creazione, da parte di fuoriusciti dal governo, di partiti di opposizione democratici e liberali che permettevano agli scontenti di manifestare la propria opinione rimanendo nell'ambito della legalità. Tali organizzazioni, a causa della provenienza di molti loro membri, mantennero saldi collegamenti con le fazioni al governo e crearono un fitto intreccio di relazioni con le grandi imprese economiche. In seguito, la concessione della Costituzione, anche se complicò la situazione politica, permise a questi partiti di ottenere, tramite compromessi ed alleanze, il potere necessario per inserire all'interno dell'apparato dello Stato i propri uomini che, essendo spesso l'espressione del potere di realtà locali e i promotori delle istanze popolari, rappresentavano il punto d'incontro tra le esigenze dello Stato e quelle della società.
  Anche il diverso atteggiamento assunto dai governi dei due imperi nei confronti dei rispettivi cittadini che tornavano dall'estero portò ad un'evoluzione sociale quasi antitetica. Mentre la Russia guardava con sospetto coloro che erano vissuti e soprattutto che avevano studiato in Europa occidentale perché sospettati di introdurre idee ritenute pericolose per la conservazione dello stato sociale, in Giappone, a partire dall'apertura forzata delle frontiere, coloro che avevano studiato, vissuto o anche solamente viaggiato all'estero furono considerati elementi fondamentali sia per la comprensione degli stranieri e delle loro tecnologie, sia per l'attivazione dei processi di ammodernamento necessari per svincolarsi dal giogo imposto dalle potenze straniere. Tali uomini furono così reintrodotti nella società,dalla quale si erano allontanati per vari motivi, in posizioni di prestigio, favorendone l'emulazione.
  Altro aspetto diversissimo è rappresentato dall'agricoltura che alla metà dell'Ottocento rappresentava per entrambi gli imperi il settore economico più importante. Alle differenze iniziali dovute alle tecniche impiegate e per i risultati ottenuti si aggiunsero quelle dovute alla rapidità dei cambiamenti nelle campagne Giapponesi.
  Infatti, in Giappone, l'agricoltura che era già caratterizzata da una forte specializzazione, soprattutto nella produzione di riso destinato al mercato interno e con rese molto alte, e dove le pratiche agricole univano ad una cura meticolosa dei poderi un'efficace concimazione, vi furono ulteriori miglioramenti, sia ad opera di privati che da misure governative, prevalentemente con l'introduzione di sementi selezionate e di nuovi concimi chimici.
  Dal punto di vista delle proprietà, con l'attribuzione delle terre direttamente ai contadini, effettuata sulla base delle suddivisioni consuetudinarie, modificò la situazione tradizionale delle campagne aumentandone la dipendenza ed il collegamento con i mercati. Infatti, la necessità di convertire i raccolti in denaro per pagare le imposte fondiarie anche in anni di carestia creò enormi problemi di sopravvivenza per le famiglie contadine proprietarie portando, nel tempo, ad un processo di accumulazione delle terre da parte di mercanti ed usurai che si concluse con il trionfo del sistema dell'affittanza. Le rivolte contadine furono frequenti all'inizio del periodo Meiji soprattutto a causa dell'introduzione di innovazioni legislative di carattere sociale che scardinavano il sistema tradizionale contadino come, ad esempio, l'introduzione della coscrizione obbligatoria, la “tassa di sangue”.
  In Russia, l'agricoltura era stagnante, affidata a contadini-servi apatici e gestita in modo indiretto dai nobili che risiedevano in città lontane e che erano poco inclini ad investire per adottare migliorie ed innovazioni nelle proprie tenute sparse nell'Impero. La produzione era per lo più appena sufficiente a mantenere la popolazione locale tanto che l'esportazione di cereali o lo spostamento di derrate alimentari in aree diverse della Russia poteva condurre, in anni di siccità, a carestie e a crisi demografiche di notevole portata. In tali condizioni d'indigenza, la popolazione contadina aveva un atteggiamento che passava dall'indifferenza apatica alla rivolta violenta. Il malcontento diffuso, attenuato dall'abolizione della servitù, fu rianimato dall'introduzione del riscatto sulle terre che, oltre ad aggravare la situazione economica dei contadini, permise addirittura il ripristino di forme di assoggettamento servile.
  Entrambi i governi non ebbero remore ad impiegare le forze armate per sedare le rivolta contadine ma, mentre in Giappone tali azioni riuscirono a bloccare sul nascere i moti popolari, in Russia la delle rivolte causò un inasprimento delle proteste in altre forme soprattutto terroristiche. Anche l'opinione pubblica dei due paesi ebbe un atteggiamento diverso: in Giappone le rivendicazioni sociali venivano percepite come minacciosi ostacoli al processo di potenziamento nazionale, mentre in Russia c'era sensibilità per le necessità minime dei contadini considerate fondamentali per il miglioramento complessivo dello Stato.
  La crescita quantitativamente diversa dell'industria portò ad un differente sviluppo sindacale.
  In Giappone lo spostamento massiccio della popolazione verso i nuclei urbani industriali da un lato diminuì la tensione nelle campagne dovuta alla crescita demografica rispetto ad una superficie coltivabile pressoché costante e, dall'altro, fornendo una quantità crescente di lavoratori per le industrie, ne diminuì il potere contrattuale. Inoltre, con la diffusione del sistema capoccia-apprendista, alcuni operai diventarono imprenditori a loro volta nei confronti degli ultimi arrivati limitando le concentrazioni alle dipendenze di un unico padrone, caso molto frequente in Russia. Un ulteriore sbocco per i lavoratori industriali giapponesi era offerto da attività collaterali, soprattutto dalle tante piccole e piccolissime officine e nei numerosissimi laboratori artigiani, che oltre alle produzioni tradizionali, si stavano specializzando nella produzione delle novità richieste dal mercato Giapponese sempre più occidentalizzato. L'apertura al commercio dei mercati coreano e cinese, dove l'industria era pressoché insistente, fu un ulteriore incentivo di beni di basso costo unitario, che soddisfacevano i gusti e sopperivano alle necessità delle classi contadine di quei paesi.
  In Russia, la produzione industriale fu sempre condizionata dalla soddisfazione delle necessità delle forze armate: il mercato interno non sviluppato difficilmente avrebbe potuto fornire la spinta per la creazione di industrie che non fossero quelle pesanti o tessili, anche perché, molti dei prodotti necessari all'agricoltura o alla vita civile delle città potevano essere importati a minor costo dalla vicina Germania.
  I prodotti industriali russi non potevano avere uno sbocco nell'Asia Centrale in quanto i paesi mussulmani erano troppo poveri o legati alle proprie tradizioni e gli unici prodotti occidentali che li interessavano erano le armi moderne, l'unica merce che il Governo russo non voleva assolutamente che fosse venduta loro. Impossibile era lo sviluppo del commercio con l'India, irraggiungibile per via della barriera naturale dell'Himalaya e esclusa dai traffici russi dalla barriera doganale a favore delle merci britanniche.
  Il tentativo di allargamento del commercio, avviato dal Governo russo, verso i paesi dell'Estremo Oriente, Cina e Corea, si rivelò fallimentare in quanto i costi di trasporto attraverso la Siberia, anche se ridotti dallo sviluppo della ferrovia, si dimostrarono molto più alti di quelli che arrivavano per via marittima, soprattutto dal concorrente Giappone che proprio in quegli anni stava modernizzando ed aumentando il tonnellaggio della flotta mercantile.
  Oltre che economicamente discutibile, il tentativo di espansione verso l'Asia Orientale provocò la dura contesa col Giappone e molti attriti con la Cina. Quest'ultima, nonostante la sua debolezza politica e militare, costrinse la Russia a intervenire a più riprese sia con la forza che con la corruzione presso la corte cinese ottenendo però solo risultati modesti. Il più importante ed oneroso dei successi russi fu l'affidamento del controllo militare sulla Manciuria dove però l'ostilità diffusa presso la popolazione locale, acuita dalla presenza delle truppe russe, costrinse la Russia ad inviare un numero crescente di soldati per il mantenimento dell'ordine pubblico. L'esercito impiegato principalmente per contrastare il brigantaggio, che era favorito dai vasti spazi aperti e dalla scarsità di popolazione della regione, aveva anche il compito di ridurre lo sviluppo di movimenti xenofobi tra le popolazioni e costituire una minaccia reale per tenere sotto controllo la corte di Pechino. La situazione di ostilità creatasi in Manciuria e l'instabilità politica interna della Cina impoverì la regione, riducendo ulteriormente le possibilità di espansione per le merci russe, senza, d'altra parte, permettere un più agevole ingresso al mercato del resto della Cina, già spartito in zone d'influenza dalle altre potenze.
  Le scelte industriali prese dai due stati furono condizionate dalle situazioni economiche diverse in Asia ed in Europa e dalla ricchezza o povertà di materie prime. In Giappone vennero avviate industrie che trasformavano le materie prime d'importazione sia per la mancanza di una sufficiente produzione interna delle stesse, sia per non dover investire gli ingenti capitali necessari per l'impianto di industrie per la loro lavorazione iniziale. In questo modo, il paese assunse il ruolo di esportatore di oggetti finiti ai paesi non industrializzati o in via di sviluppo, divenendo un temibile concorrente per i prodotti degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.
  In Russia, invece, la grande abbondanza di materie prime portò allo sviluppo di industrie per la loro lavorazione iniziale necessaria per l'avviamento verso il mercato interno e internazionale. L'installazione di tali industrie comportò una grande dipendenza dall'estero sia per i capitali necessari sia per il reperimento di macchinari moderni. L'acquisto di questi ultimi principalmente dalla Germania e l'importazione da questo paese di prodotti finiti, specialmente quelli sempre più sofisticati della fine dell'Ottocento, ne fecero il principale partner tecnologico della Russia ed il leader mondiale nelle produzioni industriali moderne.
  In Giappone, la presenza dei rappresentanti degli interessi economici all'interno di tutti i partiti, compresi quelli dell'opposizione al Governo di ispirazione liberale e democratica, e l'influenza delle imprese sullo Stato, ostacolarono lo sviluppo di una legislazione sociale. A ridurre il malcontento della classe operaia per le dure condizioni di lavoro vi erano l'aumento del tenore di vita, anche se limitato, dovuto alla crescita economica generale del paese, la possibilità di miglioramento individuale attraverso l'impegno e la prospettiva di un avanzamento sociale familiare attraverso l'istruzione che si stava diffondendo rapidamente ad ogni livello.
  In Russia invece la legislazione sul lavoro favorevole agli operai fu precoce, in quanto il Governo russo guardava con diffidenza la modernità industriale, considerata pericolosa per la società tradizionale e agricola, e tollerava i capitalisti industriali, quando non facevano parte della nobiltà, solo perché necessari per soddisfare le esigenze delle forze armate.
  Non diverso fu comunque lo sfruttamento che dovette subire la classe operaia nei due paese ad opera dei datori di lavoro, né la repressione da parte dei due governi nei confronti dei movimenti politici che difendevano le rivendicazioni sociali dei lavoratori. La situazione di disagio degli operai si inseriva nel più vasto sistema di sfruttamento delle classi povere dei due stati ed i nuovi lavoratori dell'industria, in gran parte contadini fuggiti dalle campagne incalzati dalla pressione demografica, soffrivano della stessa scarsa considerazione di cui erano vittime i lavoratori delle campagne. Lo sfruttamento nel sistema industriale era favorito dall'alta percentuale di donne lavoratrici che in entrambe le società, quella russa e quella giapponese, avevano usualmente ruoli subordinati. Leggermente migliori erano le condizioni di alcuni lavoratori specializzati, soprattutto nel settore metallurgico, che per la loro difficile insostituibilità, poterono ottenere e difendere diversi vantaggi economici e sociali.
  Peculiare del Giappone fu il mantenimento del sistema preindustriale del capoccia-apprendista che consentiva lo sfruttamento degli apprendisti riducendone il malessere sociale per via dei rapporti personali che si instauravano tra le due categorie e per la possibilità offerta a chiunque tra gli apprendisti se ne dimostrasse capace di diventare a sua volta capoccia, permettendogli di progredire nell'ordine sociale pur rimanendo all'interno della classe operaia.
  In Russia gli operai rappresentavano un gruppo omogeneo ed unito che essendo più istruiti dei contadini erano, rispetto a questi, maggiormente consapevoli della propria condizione di sfruttamento. L'omogeneità della classe operaia russa, della quale i metallurgici rappresentavano l'avanguardia, permise la creazione di molti sindacati di mutua solidarietà e di ispirazione socialista e la partecipazione a lotte per ottenere i diritti fondamentali.
  Diversamente, nelle miniere, dove la necessità di manodopera non specializzata e quindi facilmente sostituibile, impedì per lungo tempo che vi fossero lotte efficaci per ottenere riforme sui metodi di lavoro. I minatori, che nel settore industriale erano i più sfruttati, reagirono alla tensione sociale con disordini anche gravi e violenti, ma la scarsa coordinazione con le altre classi sociali, dovuta alla mancanza d'istruzione e alla bassa condizione sociale dei minatori, impedirono l'ottenimento di vantaggi non di tipo salariale duraturi.
  Le scelte dei due imperi furono influenzate dalla differente posizione geografica.
  Per la Russia il primo compito delle forze armate era il controllo del fronte terrestre europeo e balcanico. Anche se Turchia e Svezia non erano più i nemici temibili del Settecento, le guerra napoleoniche prima, le tensioni balcaniche e la Guerra di Crimea avevano dimostrato come fosse importante avere un esercito forte nella Russia europea, numericamente consistente anche se composto da reclute non addestrate, male armate, poco equipaggiate. Tale esercito di massa era lento ed inefficiente ma aveva il vantaggio di poter essere mobilitato abbastanza rapidamente ed era caratterizzato dalla parsimonia contadina e dalla capacità di sopperire in gran parte in modo autonomo alle necessità logistiche. Nei periodi di pace l'Esercito si riduceva molto e le poche truppe venivano adibite anche a compiti di polizia. Un discorso a parte andrebbe fatto per i Cosacchi, un vero e proprio popolo in armi che poteva essere richiamato rapidamente in base alle esigenze contingenti per affiancarsi all'esercito regolare in tutti i compiti non di prima linea, a loro era affidato il pattugliamento delle lande desolate dell'Asia centrale, ed erano stati utilizzati efficacemente per l'espansione asiatica dell'Impero.
  Se fino nella prima metà dell'Ottocento le forze russe di terra potevano essere alla pari o superiori a quelle di altri stati europei, con le innovazioni negli armamenti, fucili automatici e a ripetizione, cannoni rigati a retrocarica, la numerosità delle truppe oltre a non rappresentare da sola l'elemento più importante nelle battaglie aggravava le difficoltà di rifornimento e approvvigionamento delle truppe.
  La flotta russa, sebbene avesse avuto sempre navi all'altezza delle marine coeve non aveva mai combattuto con le altre: anche nella Guerra di Corea, a parte il cannoneggiamento della flotta Ottomana presa alla sprovvista in porto (...), vista la palese inferiorità rispetto alle flotte Inglese e Francese, venne deciso di non affrontare le navi di tali flotte in una battaglia navale. In seguito, al pari delle altre Forze Armate, specialmente dell'Artiglieria la flotta incorreva negli stessi problemi di rifornimento, con l'aggravante che con l'utilizzo delle navi a vapore il carbonamento diventava un ostacolo a qualsiasi operazione lontana dalle basi.
  Inoltre, la Marina zarista, a causa delle differenze etniche dell'Impero, nonostante i vari sbocchi al mare non poteva contare su una popolazione marinaresca leale da poter impiegare in caso di necessità anche solo per rimpiazzare le perdite. Le regioni che si affacciavano sui mari erano abitate da popolazioni considerate dal Governo russo poco fidate: Finlandesi, Estoni e Lettoni sul Mar Baltico, Mussulmani di varie etnie, Georgiani ed Armeni sul Mar Nero. Per questo motivo la Marina da guerra russa era costretta ad attingere molto del suo personale dalla popolazione contadina “grande russa” che, a causa della sua provenienza continentale, aveva bisogno di lunghi tempi di addestramento per poter superare le carenze culturali. La scarsa istruzione e l'analfabetismo diffuso tra i contadini russi imbarcati non facilitavano l'addestramento soprattutto dopo l'introduzione delle nuove tecnologie della fine Ottocento.
  Gli ufficiali russi, soprattutto ai gradi più alti, sia nell'Esercito che nella Marina, provenivano principalmente dalla nobiltà e nonostante le lunghe carriere di servizio non avevano una preparazione adeguata. Gli stati maggiori impiegati ad organizzare campagne contro l'Esercito ottomano e spedizioni poliziesche per sedare le rivolte di popolazioni ostili o di contadini affamati, mancavano di esperienza sulla guerra di movimento contro un esercito determinato e ben armato, come poteva essere quello giapponese, e contavano troppo su tecniche di combattimento risalenti all'epoca napoleonica: masse di fanteria armate di fucili che attaccavano con la baionetta o si difendevano nelle trincee mentre la cavalleria si occupava dell'avvolgimento del fronte avversario.
  I cambiamenti nelle tattiche di guerra, imposti dalle armi moderne e dalla macchie a vapore, evidenti in guerre complesse come la Guerra di Secessione Americana e le vittoriose guerre prussiano-tedesche contro l'Austria e la Francia e confermate nelle più semplici guerre e battaglie coloniali della fine dell'Ottocento, furono metabolizzati molto lentamente anche nell'Esercito giapponese. Quest'ultimo poteva godere di un'ottima disciplina, un buon armamento ed una buona preparazione alla guerra di movimento e alle operazioni anfibie ma la facile vittoria sull'esercito cinese male armato e peggio guidato, fece sottovalutare le difficoltà di manovra per truppe numerose nello svolgimento di una moderna battaglia campale. Inoltre, la sopravvalutazione della propria forza e capacità di manovra basata sul movimento ordinato delle truppe portò ad attacchi frontali contro il nemico trincerato e fortificato, soprattutto a Port Arthur, con pesanti perdite e distruzione di interi reparti.
  La Marina era il punto di forza del Giappone: preparata su modello inglese, era equipaggiata con navi moderne armate con cannoni di progettazione e costruzione tedesca o inglese. Gli equipaggi ed il corpo ufficiali erano ben addestrati ed era frequente lo studio nelle accademie navali inglesi e le esperienze di navigazione per portare in patria le navi acquistate in Europa, con la conseguente conoscenza delle tecnologie all'avanguardia che permisero allo Stato Maggiore della Marina di comprendere, anche se non pienamente, il vantaggio che potevano dare le nuove armi insidiose come le mine e i siluri. A tale già alto livello di preparazione si era aggiunta l'esperienza bellica contro la Cina che aveva permesso di sperimentare sul campo quanto imparato negli addestramenti.
  Oltre alle situazioni di partenza delle due forze armate, diversi erano gli atteggiamenti dei Comandi supremi e degli stati maggiori dei due Imperi che si riverberavano sul morale delle truppe. I Giapponesi erano convinti che fosse necessaria una guerra rapida e quindi d'attacco, da una parte si sentivano pronti in quanto gli obiettivi, Corea e Shantung, facevano parte di una strategia in pieno sviluppo e dall'altro c'era il timore dell'allargamento del conflitto con il coinvolgimento di altre potenze occidentali che avrebbe potuto mettere in forse la stessa esistenza dello Stato giapponese. Al contrario, la Russia non si sentiva ancora pronta ad una guerra moderna sul fronte asiatico e la posta in gioco era poco chiara alle truppe. Combattere in un territorio abitato da una popolazione ostile lontano dalla Russia e senza prospettive di sviluppo comprensibili ai più riduceva la convinzione della necessità di vittoria ad ogni costo. D'altra parte i pregiudizi di superiorità degli ufficiali russi nei confronti della truppa e dei russi in generale verso gli asiatici portavano ad una serie di errori di giudizio ed ad una sottovalutazione iniziale dei problemi alla quale faceva spesso seguito l'apatia e la rinuncia del raggiungimento degli obiettivi di fronte alle prime difficoltà. Esemplare fu l'atteggiamento d'attesa dei rinforzi dall'Europa senza la capacità di formulare piani strategici adeguati per il loro effettivo impiego come evidente fu la sottovalutazione dei fattori di base di una campagna militare come la valutazione delle distanze e la gestione logistica, lo a conoscenza approfondita dei luoghi e la capacità di utilizzo della conformazione geografica a fini bellici.
  Nel quadro di approssimazione dei piani strategici e di sottovalutazione delle problematiche logistiche di una guerra moderna, si inserì la nefasta iniziativa di inviare rinforzi navali dopo aver già perso tutte le navi presenti sul teatro di guerra e l'unica base navale utilizzabile per le operazioni.
  Comune ai Governi dei due Imperi fu l'erronea valutazione dei costi che avrebbe richiesto la guerra. Le spese furono ingenti ed esaurirono le riserve dei due paesi causando gravi preoccupazioni soprattutto al Governo giapponese che si sentiva sempre minacciato dall'intraprendenza, anche economica, delle potenze occidentali e doveva fare i conti con il parlamento che aveva espresso la sua fiducia all'inizio della guerra ma che difficilmente avrebbe approvato un'ulteriore pressione fiscale.
  L'indifferenza della corte russa verso la volontà popolare anzi la convinzione che la Russia avesse bisogno di una guerra per la pace interna, aveva illuso alcuni circoli vicini alla corte zarista di poter continuare la guerra ad oltranza ma i disordini rivoluzionari divennero sempre più pericolosi anche per la sopravvivenza dello stato e quindi dovettero accettare la sconfitta per dedicare le risorse alla pacificazione interna.
  L'economia di guerra diede un nuovo impulso all'industria privata giapponese grazie alle commesse governative che coinvolsero tutti i settori, ma lo Stato si trovò alla fine della guerra in difficoltà economiche, sia perché il pagamento della sperata indennità di guerra da parte della sconfitta Russia non fu accettato in sede diplomatica, sia per l'ostilità parlamentare all'imposizione di nuove tasse e solo lo sfruttamento sistematico della regioni dell'Asia continentale poste sotto il controllo giapponese permise allo Stato di riprendersi rapidamente.
  In Russia i disordini e gli scioperi degli operai rallentarono la produzione industriale e mentre la produzione agricola già ridotta per l'arruolamento dei contadini e per la siccità fu ulteriormente decurtata dalla rivoluzione costringendo il Governo russo a richiedere nuovi prestiti stranieri per far fronte alle spese.
  La situazione economica deficitaria portò il Governo zarista, una volta riottenuto il controllo del paese, ad opprimere la popolazione con nuove tasse, aggravando lo sfruttamento delle classi lavoratrici più povere ed indifese. I buoni raccolti del dopoguerra a fronte del costante aumento del prezzo dei cereali a seguito della crescita della popolazione nelle città industriali avvantaggiò un cospicuo numero di contadini benestanti oltre ai latifondisti.
  I governi giapponesi che si susseguirono prima dello scoppio della Grande Guerra, sfruttando economicamente le colonie di Formosa e di Corea e la regione cinese della Manciuria, ed imponendo alle classi lavoratrici un pesante carico fiscale, poterono proseguire l'opera di modernizzazione del paese e di potenziamento delle Forze Armate. Tale politica favorì soprattutto la popolazione agricola, principale sostegno dei partiti al governo e considerata, a causa del suo saldo legame con le tradizioni ed il suo rispetto delle gerarchie feudali, un valido contrappeso alle rivendicazioni operaie e democratiche delle città. La relativa stabilità sociale giapponese, dovuta alla crescita economica e al ferreo controllo poliziesco, fece in modo che i movimenti di ispirazione socialista rimanessero confinati a livello delle classi colte ed ai circoli intellettuali permettendo la messa al bando del Partito Socialista che concluse la prima fase dello sviluppo di tale movimento. Particolarmente efficace fu la politica delle organizzazioni nazionaliste di destra che si svilupparono facendo affidamento sul lealismo dei contadini reduci della guerra ed addossando la colpa di ogni difficoltà economica e di ogni disagio sociale all'inosservanza dei valori tradizionali da parte degli esponenti delle industrie capitalistiche ed agli uomini di governo collusi e corrotti.
  Lo stretto rapporto tra i partiti politici giapponesi e l'élite economica ed industriale favorì lo sviluppo di ideologie militariste ed espansionistiche che, con la proiezione verso l'esterno dei problemi interni, mediavano tra le istanze della società tradizionale dei distretti rurali, rappresentata dai partiti e basata sull'autorità dell'Imperatore, e quelle della grande industria che aveva bisogno di un potente Giappone moderno. Questa situazione costrinse i governi ad una politica di compromesso tra le esigenze delle campagne, con il conseguente rispetto delle tradizioni e l'impossibilità di elevare il carico fiscale, e lo sviluppo dell'industria, in particolare quella bellica, con la necessaria modernizzazione delle infrastrutture ed il reperimento dei fondi necessari.
  In Russia i movimenti di sinistra, in una situazione di disagio diffuso, ebbero largo seguito e, continuando i metodi di lotta clandestina collaudati prima della guerra, aumentando la loro presenza soprattutto tra gli operai e tra i contadini poveri.
  Le destre monarchiche e tradizionaliste non trovarono e non cercarono appoggio tra la popolazione, sia per il timore di ripetere gli errori dei sindacati gialli, sia perché anche le richieste minime della popolazione si scontravano con la volontà del gruppo di potere nobiliare.
  L'agitata situazione politica internazionale europea, in confronto alla relativa tranquillità dell'Asia Orientale, costrinse la Russia a schierarsi diplomaticamente al fianco dei francese, suoi principali creditori, e contro la Germania, a sua volta alleata dell'Austria, grande rivale russa per la questione dei Balcani. Tale scelta diplomatica ebbe come conseguenza la necessità di potenziare rapidamente la forze armate, soprattutto terrestri in vista di un possibile conflitto sui confini occidentali. Potenziamento avvenuto senza aver prima eliminato i grossi problemi organizzativi evidenziati dalla guerra contro il Giappone. In particolare, per non coinvolgere gli esponenti della Corte o vicini allo Zar, non vennero prese misure verso i responsabili della sconfitta ma si era preferito processare e condannare solo alcuni esponenti delle Forze Armate.
  Nell'Impero russo la popolazione era ormai matura per cambiamenti di vasta portata e sebbene la rivoluzione venisse soffocata era chiaro che una volta armata per una nuova guerra avrebbe potuto dar vita a sommosse e rivolte sempre meno superabili senza aver risolto i problemi sociali che le avevano provocate. Le soluzioni avrebbero dovute essere fatte rapidamente e in modo profondo invece furono limitate a provvedimenti parziali che dimostrarono l'incapacità dei partiti liberali di rappresentare efficacemente le richieste della popolazione ed ebbero come effetto finale la radicalizzazione della protesta e favorirono la diffusione delle idee e delle proposte dell'estrema sinistra.
  Il riconoscimento del Giappone come grande potenza dell'area del Pacifico fu imposto ai paesi occidentali con la vittoria militare, anche se parte del successo diplomatico era dovuto all'alleanza con la Gran Bretagna, che continuava a considerare l'Impero Nipponico il “gendarme” posto a salvaguardia dei propri interessi nella regione e baluardo verso l'eccessiva intraprendenza economica e diplomatica tedesca e americana e della crescente irrequietezza cinese.
  Lo scontro tra i due Imperi mise in luce molti dei problemi economici e diplomatici che avrebbero trovato una soluzione nei decenni successivi in maniera traumatica e soprattutto, fu il punto di svolta del sistema internazionale ottocentesco per l'Asia e l'Estremo Oriente: la Russia dovette rinunciare definitivamente alla sua politica di espansione in Asia premessa per giungere ad un accordo diplomatico con la Gran Bretagna; il Giappone, considerato alla fine del secolo come un paese alla mercé delle potenze Occidentali si affiancò a queste come paese colonizzatore della Cina, quest'ultima dimostrò definitivamente l'incapacità e l'impossibilità del Governo di Pechino di autogovernarsi e gestire le provincie cinesi innescando il processo di divisione e disgregazione che proseguì nei decenni successivi col la rivoluzione e l'affermazione dei Signori della guerra.
  Gli Stati Uniti, soddisfatti del ridimensionamento della potenza russa, erano d'altra parte preoccupati della crescita del Giappone che avrebbe potuto diventare un temibile antagonista nell'area del Pacifico, da dove gli USA avevano appena scacciato gli spagnoli ed avevano assunto un ruolo più importante. Un ambito di possibile scontro era anche la Cina, dove il Giappone era un fautore delle zone di influenza mentre gli USA proponevano la politica della “porta aperta”.
  La guerra dimostrò la potenza raggiunta dalla tecnologia militare e la sua insostituibilità per la conduzione di un conflitto moderno. Molti osservatori militari riportarono le loro impressioni sulla guerra ai propri governi e stati maggiori, ma, come si vedrà nelle fasi iniziali della Prima Guerra Mondiale, pochi o nessuno dei miglioramenti possibili furono messi in atto. In particolare, i paesi industrializzati consci dell'importanza delle armi moderne, investirono sia nella ricerca tecnologica sia nella produzione di nuovi e più potenti armamenti ma senza affrontare i cambiamenti organizzativi e introdurre le tecniche d'impiego che le armi moderne richiedevano.
  Le scelte fondamentali operate dai due governi alla fine dell'Ottocento, frutto di calcoli politici ed economici, possono sembrare applicate liberamente nei due diversi imperi ma in realtà le decisioni si rivelarono efficaci solo quando soddisfacevano esigenze già manifestate dalle società e soprattutto quando erano favorevoli ed avvantaggiavano le classi sociali che detenevano il potere.
  In Russia l'eccessivo potere della nobiltà e lo sviluppo accelerato in senso capitalistico dell'economia impedirono la trasformazione dell'Impero in uno stato democratico e, se la rivoluzione del 1905 si concluse col ripristino del regime zarista, quella del 1917 porterà al collasso dello stato.
  In Giappone lo scarso sviluppo dei partiti socialisti, la difficoltà di far nascere movimenti sindacali, la brutalità dimostrata dallo Governo nella repressione di ogni protesta sociale ridussero l'opposizione ed impedirono lo sviluppo di una salda democrazia. Inoltre le vittorie delle Forze Armate ed il fanatismo imperiale facilitarono l'affermazione della Destra militarista, nazionalista e favorevole all'espansione, ponendo le basi per nuovi conflitti in Asia Orientale. L'ininterrotta pace interna e l'ordine sociale imposto con la forza permisero l'affermazione della classe media composta da ex-samurai impegnati come burocrati e militari di carriera, contadini arricchiti, usurai delle campagne, nuovi e vecchi commercianti, intellettuali liberali. Questa classe era indifferente alle necessità degli operai e dei contadini ma era allo stesso tempo consapevole del loro importante contributo alla formazione della ricchezza del paese. Questo indusse a politiche che consideravano le classi lavoratrici come un insieme di singoli individui, sacrificabili in nome del progresso industriale o del maggior profitto ma mai relegati in posizione subordinata in quanto classe. Inoltre, il clientelismo politico nelle campagne permise il miglioramento della vita di molti contadini che poterono usufruire dei favori elargiti dai politici e dall'introduzione di miglioramenti ed innovazioni per le tecniche agricole favoriti o imposti dallo stato. Di conseguenza fu possibile l'accordo tra gli agrari giapponesi e gli industriali e il contenimento delle proteste operaie tramite l'esercito arruolato prevalentemente tra i contadini.
  Al contrario in Russia i contadini continuarono ad essere considerati inferiori e bisognosi di tutela anche quando, nonostante le trasformazioni rivoluzionarie, i Bolscevichi, all'interno della dittatura del proletariato, imposero la guida degli operai nei confronti dei contadini.

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Due late-comers a confronto: la Guerra Russo-Giapponese del 1904-1905. by Andrea Portunato is licensed under a Creative Commons Attribuzione 2.5 Italia License.
pagina aggiornata il 30 ottobre 2008
scritto da Andrea Portunato